Una testimonianza per ricordare Maurizio Leggeri nel quarantesimo anniversario del sisma del 1980.

Per tutti i lucani il 23 Novembre non è un giorno qualsiasi. Il devastante terremoto che colpì l'Irpinia e la Basilicata quel 23 novembre di quarant'anni fa segnò la vita di tantissimi e ancora oggi il ricordo di quel dolore è indelebile nella memoria di chi lo ha vissuto. Ci è stata inviata una testimonianza che vogliamo condividere con tutti voi, un rapido eppur significativo ritratto dell'Ingegner Maurizio Leggeri e del suo impegno durante e dopo quel giorno che cambiò la Basilicata e la percezione del terremoto e dei suoi effetti. Tonino Nella, l'autore, ci ha permesso di pubblicare queste sue righe in occasione dei quarant'anni dal sisma, nel ringraziarlo vogliamo anche noi unirci nel ricordo di quel giorno e di tutte le vittime del terremoto. 

Il mio ricordo dell'Ingegner Maurizio Leggeri a 40 anni dal terremoto

di Tonino Nella

  La mattina di lunedì 24 novembre 1980, dopo aver portato al sicuro la mia fidanzata e la sua famiglia in un prefabbricato di campagna, dove si era rifugiata anche la mia famiglia, raggiunsi a piedi la sede dell'Archstudio, in Via Francesco Baracca 175 a Potenza, primo piano sottostrada. Lì ci lavoravo dal marzo di quello stesso anno come geometra disegnatore. Avevo ventidue anni e mezzo ed una particolare attitudine al disegno delle strutture in cemento armato. A quell'epoca si disegnava tutto a mano, su carta lucida adatta per la duplicazione eliografica. Eravamo ancora nella preistoria.

 Girai la chiave nella serratura di sicurezza e mi preparai per togliere subito l’allarme, ma non ce ne fu bisogno. La porta si aprì al primo mezzo giro e l’allarme era stato già disinserito. C’era qualcuno. Mi trovai di fronte ad uno spettacolo desolante, ma non inaspettato. Ovunque c’erano scaffali vuoti e faldoni per terra, mischiati a riviste, a libri, a rotoli di carta lucida, di carta comune e di carta mozzarella. Come se vi fosse entrato un uragano o un esercito di scassinatori. Purtroppo era entrato qualcosa di molto peggio: un terremoto di decimo grado della scala Mercalli, il massimo per quel vecchio criterio di misurazione, durato novanta secondi, un minuto e mezzo, quasi un’eternità!

 “C’è qualcuno!?” gridai a gran voce dall'atrio di ingresso, baricentrico rispetto alla disposizione degli ambienti. Nessuna risposta. Detti un’occhiata tra la biblioteca, la cucina e la sala riunioni, poi entrai nel grande salone di lavoro. Una decina di tavoli da disegno disposti su più file e gli uffici dei titolari: l’Ingegner Carlo Roccatelli, eccellente progettista architettonico e urbanista di cultura sconfinata, colui che ben mi conosceva da anni e mi aveva preso a lavorare; l’Architetto Antonio Costabile, detto Tonino, genio assoluto dell’architettura di linearità, con la passione esagerata per i cavalli; l’Ingegner Maurizio Leggeri, lo strutturista, sacerdote dell’equilibrio tra i carichi da mantenere e la struttura che li  deve sorreggere; pioniere e genio dell’informatica, radioamatore con la passione per la fotografia e la lingua inglese parlata alla putenzes.

 L’Ingegner Maurizio Leggeri era anche un uomo dal buon’umore contagioso ed incrollabile, se non fosse stato per una ossessiva inquietudine dovuta alla componente orizzontale”: l’azione sismica, cioè quella “sollecitazione” da vera e propria “forza” che agisce orizzontalmente sulle  strutture portanti di qualsiasi costruzione, soprattutto palazzi e altri fabbricati in elevazione, che se non sono progettati e costruiti per assorbirla e contrastarla, possono subire gravissimi  danni, fino al crollo. Tutta l’area colpita dal terremoto del 23 novembre 1980 a quell'epoca non era considerata “zona sismica” e la normativa da applicare per il dimensionamento ed il calcolo delle strutture portanti non obbligava i progettisti a considerare la “componente orizzontale” dell’azione sismica.

 Per l’Ingegner Maurizio Leggeri era un’aberrazione, una bestemmia, un’offesa alla storia ed un oltraggio alla memoria delle tante vittime degli innumerevoli terremoti che hanno devastato la stessa disperata terra nei secoli precedenti. Da anni si batteva affinché tutta la Basilicata fosse classificata zona sismica di categoria elevata. Era martellante con tutti: imprenditori e tecnici; onorevoli, sindaci e prefetti; giovani ingegneri che passavano da lui per consigliarsi e impratichirsi; perfino con me che non ne capivo poi tanto. Ma io disegnavo le strutture delle costruzioni che lui, già da prima del terremoto, dimensionava e calcolava con tanto di “componente orizzontale” in barba ad una normativa inadeguata. A chi gli domandava come mai venissero fuori travi e pilastri un po’ più “robustelli” del consueto o travi battenti (quelle che sono più alte del solaio e sporgono da sotto in maniere forse poco estetica) invece di travi a spessore di solaio e anche ferri di armatura più grossi e costosi dello standard, lui rispondeva che aveva dovuto tener conto dell’azione del vento. Manco fossimo diventati la Florida o la California, pensavo io. Ma lui, che proprio in California e per l’ingegneria sismica aveva contatti, frequentazioni e collaborazioni con l’Università di Berkeley, sapeva come vincere e convincere della bontà del suo lavoro. “Tonì mi raccomando” mi diceva avvicinandosi al tavolo da disegno “infittisci le staffe nei nodi travepilastro e quando vai in cantiere accertati che le leghino”. Quante staffe non legate ho visto alla base di pilastri che hanno ceduto sotto la scossa del 23 novembre 1980.

 “C’è qualcuno!?” gridai di nuovo senza ottenere risposta, finché arrivai davanti alla porta della sua stanza. L’Ingegner Maurizio Leggeri era lì, seduto alla poltrona della sua scrivania, gli occhi fissi sulla porta, aspettando in silenzio che io comparissi. Si capiva che aveva pianto, certamente di rabbia e di frustrazione, ma era già passato oltre. Io riuscii solo a dirgli “Ingegnè!?” e niente altro. Lui capì che volevo dirgli “Grazie a Dio state bene. Ah se vi avessero dato retta! Mo tocca solo darsi da fare.” Riuscì solo a dirmi “Tonì!” e niente altro. Io capii che voleva dirmi “Se anche mi avessero dato retta, forse non sarebbe bastato. Mo facciamo in modo che quando ricapiterà non succeda la stessa tragedia.”

 E a questo scopo l’Ingegner Maurizio Leggeri ha dedicato tutto il resto della sua vita.

 Se oggi si riuscisse ad approfittare su larga scala degli incentivi per l’adeguamento sismico dei fabbricati costruiti prima di quel terribile terremoto, sul volto già simpatico dell’Ingegner Maurizio Leggeri si aprirebbe un largo ed accattivante sorriso. Sapeva sorridere eccome l’Ingegner Maurizio Leggeri; così bene che anche la sua barba vi partecipava con gusto.

 Io sono Tonino Nella, oggi ho sessantadue anni e mezzo e mi batte ancora il cuore per la gioia e l’orgoglio di essergli stato amico.

 


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